Mille anni fa, precisamente il 28 aprile 1001, in un diploma emesso dall'imperatore Ottone III, Gorizia fu nominata per la prima volta.
Il Lunari Pal 2001 è dedicato proprio ai mille anni della nostra città.
Mille anni fa, precisamente il 28 aprile 1001, in un diploma emesso dall'imperatore Ottone III, Gorizia fu nominata per la prima volta.
L'imperatore allora concesse al patriarca d'Aquileia, con la parte dei territori ad essi pertinenti, metà sia del castello detto Siliganum (oggi Salcano/Solkan), sia della villa che nella lingua degli Slavi era chiamata Coriza, vale a dire "montagnola". Non era ancora una città, ma un villaggio situato sul colle, al centro di terreni coltivabili.
Agli inizi del XII secolo quei territori pervennero ai conti di Lurngau, in Carinzia, imparentati con le famiglie nobili più importanti dell'epoca. Sulla "montagnola" da cui Gorizia derivava il nome sorse un castello, che fu nominato per la prima volta nel 1202. Nel 1271 i conti spartirono tutti i loro diritti e possedimenti: a Mainardo II spettò il Tirolo, al fratello Alberto II la contea di Gorizia. Lienz a nord e Gorizia a sud ne divennero i centri di potere.
L'antico villaggio slittò verso la pianura sottostante. Gorizia fu così composta dal castello, dal borgo sorto all'intorno (o Terra di sopra), al quale l'imperatore Ottone IV aveva concesso nel 1210 il diritto di tenere un mercato settimanale, e dal villaggio contadino in pianura (o Terra di sotto). Il sigillo che si considera legato alla concessione del privilegio di città al borgo , nel 1307, offre un'immagine stilizzata del castello e degli edifici che lo attorniavano, cinti da mura e palizzate.
Dopo la morte dell'ultimo conte, Leonardo, nel 1500, la contea passò agli Asburgo e fu subito coinvolta nelle guerre per la definizione dei confini tra i domini austriaci e quelli della repubblica di Venezia. Tra il 1508 e il 1509 Gorizia fu sottoposta per un breve periodo al dominio veneto. A difesa del borgo fu allora iniziata la costruzione della seconda cinta murata. Gli austriaci, che avevano ripreso il dominio della città, continuarono i lavori di fortificazione. Nella più antica veduta di Gorizia, che risale alla metà del Seicento, si notano la muraglia che cingeva il borgo, separandolo dalla Terra di sotto su cui svetta il campanile della chiesa dei Santi Ilario e Taziano, l'attuale duomo.
Sotto le ali dell 'aquila imperiale, così come la si vede raffigurata in una veduta settecentesca, la città rimase per più di quattro secoli, fino alla fine della prima guerra mondiale.
Gorizia continuò ad espandersi oltre il perimetro segnato dalla "Grapa ", il fossato che cingeva le case costruite alle pendici del colle. Si sviluppò soprattutto lungo la strada che, oltrepassato un grande prato o Travnik (l'attuale piazza della Vittoria), proseguiva verso il nord e la Carinzia. Lungo un'altra strada, che piegava ad ovest, verso il Friuli, si costituì il borgo della Piazzutta, oltre il corso del torrente Corno. Alla Carniola, regione che corrisponde grossomodo all'attuale Slovenia, portava la strada ( oggi via Alviano) che usciva dalla città lasciandosi alle spalle il convento dei francescani, sorto nel Trecento alla periferia orientale della città (attuale piazza Sant'Antonio). In direzione del Carso e del mare, a sud, era sorto il borgo rurale di San Rocco. Le fondazioni religiose del Seicento e i palazzi costruiti nel secolo successivo connotarono la fisionomia della città.
Durante il Settecento la città si espanse in direzione del viale (l'attuale via Diaz) che collegava l'edificio del teatro al palazzo Della Torre (oggi "villa Louise", in largo Culiat). Il viale, ombreggiato da più file d'alberi, si riconosce nella veduta di Gorizia disegnata dal Kobau.
Nel 1858, la deviazione imposta al tracciato della Ferrovia meridionale affinché toccasse Gorizia offrì a quest'ultima una nuova occasione di crescita. Per limitare lo scarto della linea rispetto all'originario tracciato, da Vienna a Trieste via Udine, la stazione fu costruita a sud-ovest della città, ad una notevole distanza dal suo centro. Ad esso fu collegata dalla strada della Stazione (l'attuale corso Italia), che confluiva nella via del Giardino (oggi corso Giuseppe Verdi). Lungo le due arterie si sviluppò una Gorizia che, verde · di giardini, aspirava a diventare località di cura climatica o "Nizza austriaca".
Terribili furono i danni causati dai bombardamenti della Grande guerra. Ne costituisce un emblema la fotografia del castello semidistrutto. L'immagine si oppone tragicamente a quella, ottocentesca, del castello che, dalla collina, sovrasta la piazza Grande, l'antico Travnik.
La città odierna è frutto anche dei lavori di ricostruzione, delle opere del Ventennio, delle realizzazioni effettuate, durante gli anni Cinquanta, con i piani di aiuto all'occupazione. Vi si possono cogliere, accanto ai segni del nuovo, quelli lasciati dalla storia, monumenti che appaiono condensati nell'acquaforte di Raoul Cenisi.
La piana aperta, dove mille anni fa sorgeva solo un villaggio, è attraversata da strade e piena delle case di Gorizia e di Nova Gorica, sorta dal 1948 oltre il confine tracciato al termine del secondo conflitto mondiale. Una linea di confine che oggi percepisce appena chi guarda le città dall'alto.
Mille anni fa, precisamente il 28 aprile 1001, in un diploma emesso dall'imperatore Ottone III, Gorizia fu nominata per la prima volta.
L'imperatore allora concesse al patriarca d'Aquileia, con la parte dei territori ad essi pertinenti, metà sia del castello detto Siliganum (oggi Salcano/Solkan), sia della villa che nella lingua degli Slavi era chiamata Coriza, vale a dire "montagnola". Non era ancora una città, ma un villaggio situato sul colle, al centro di terreni coltivabili.
Agli inizi del XII secolo quei territori pervennero ai conti di Lurngau, in Carinzia, imparentati con le famiglie nobili più importanti dell'epoca. Sulla "montagnola" da cui Gorizia derivava il nome sorse un castello, che fu nominato per la prima volta nel 1202. Nel 1271 i conti spartirono tutti i loro diritti e possedimenti: a Mainardo II spettò il Tirolo, al fratello Alberto II la contea di Gorizia. Lienz a nord e Gorizia a sud ne divennero i centri di potere.
L'antico villaggio slittò verso la pianura sottostante. Gorizia fu così composta dal castello, dal borgo sorto all'intorno (o Terra di sopra), al quale l'imperatore Ottone IV aveva concesso nel 1210 il diritto di tenere un mercato settimanale, e dal villaggio contadino in pianura (o Terra di sotto). Il sigillo che si considera legato alla concessione del privilegio di città al borgo , nel 1307, offre un'immagine stilizzata del castello e degli edifici che lo attorniavano, cinti da mura e palizzate.
Dopo la morte dell'ultimo conte, Leonardo, nel 1500, la contea passò agli Asburgo e fu subito coinvolta nelle guerre per la definizione dei confini tra i domini austriaci e quelli della repubblica di Venezia. Tra il 1508 e il 1509 Gorizia fu sottoposta per un breve periodo al dominio veneto. A difesa del borgo fu allora iniziata la costruzione della seconda cinta murata. Gli austriaci, che avevano ripreso il dominio della città, continuarono i lavori di fortificazione. Nella più antica veduta di Gorizia, che risale alla metà del Seicento, si notano la muraglia che cingeva il borgo, separandolo dalla Terra di sotto su cui svetta il campanile della chiesa dei Santi Ilario e Taziano, l'attuale duomo.
Sotto le ali dell 'aquila imperiale, così come la si vede raffigurata in una veduta settecentesca, la città rimase per più di quattro secoli, fino alla fine della prima guerra mondiale.
Gorizia continuò ad espandersi oltre il perimetro segnato dalla "Grapa ", il fossato che cingeva le case costruite alle pendici del colle. Si sviluppò soprattutto lungo la strada che, oltrepassato un grande prato o Travnik (l'attuale piazza della Vittoria), proseguiva verso il nord e la Carinzia. Lungo un'altra strada, che piegava ad ovest, verso il Friuli, si costituì il borgo della Piazzutta, oltre il corso del torrente Corno. Alla Carniola, regione che corrisponde grossomodo all'attuale Slovenia, portava la strada ( oggi via Alviano) che usciva dalla città lasciandosi alle spalle il convento dei francescani, sorto nel Trecento alla periferia orientale della città (attuale piazza Sant'Antonio). In direzione del Carso e del mare, a sud, era sorto il borgo rurale di San Rocco. Le fondazioni religiose del Seicento e i palazzi costruiti nel secolo successivo connotarono la fisionomia della città.
Durante il Settecento la città si espanse in direzione del viale (l'attuale via Diaz) che collegava l'edificio del teatro al palazzo Della Torre (oggi "villa Louise", in largo Culiat). Il viale, ombreggiato da più file d'alberi, si riconosce nella veduta di Gorizia disegnata dal Kobau.
Nel 1858, la deviazione imposta al tracciato della Ferrovia meridionale affinché toccasse Gorizia offrì a quest'ultima una nuova occasione di crescita. Per limitare lo scarto della linea rispetto all'originario tracciato, da Vienna a Trieste via Udine, la stazione fu costruita a sud-ovest della città, ad una notevole distanza dal suo centro. Ad esso fu collegata dalla strada della Stazione (l'attuale corso Italia), che confluiva nella via del Giardino (oggi corso Giuseppe Verdi). Lungo le due arterie si sviluppò una Gorizia che, verde · di giardini, aspirava a diventare località di cura climatica o "Nizza austriaca".
Terribili furono i danni causati dai bombardamenti della Grande guerra. Ne costituisce un emblema la fotografia del castello semidistrutto. L'immagine si oppone tragicamente a quella, ottocentesca, del castello che, dalla collina, sovrasta la piazza Grande, l'antico Travnik.
La città odierna è frutto anche dei lavori di ricostruzione, delle opere del Ventennio, delle realizzazioni effettuate, durante gli anni Cinquanta, con i piani di aiuto all'occupazione. Vi si possono cogliere, accanto ai segni del nuovo, quelli lasciati dalla storia, monumenti che appaiono condensati nell'acquaforte di Raoul Cenisi.
La piana aperta, dove mille anni fa sorgeva solo un villaggio, è attraversata da strade e piena delle case di Gorizia e di Nova Gorica, sorta dal 1948 oltre il confine tracciato al termine del secondo conflitto mondiale. Una linea di confine che oggi percepisce appena chi guarda le città dall'alto.
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